Prologo: La famigli aveva origini lontane. Il nome deriva da un diminutivo con cui i longobardi e i germanici la Branda, cioè la Spada che nel tempo di consolidò come nome. Aldobrando, Ildebrando ecc. diventarono Bindo, Bindi e Binda. La spada ben si addiceva alla famiglia che già prima del mille scorrazzava in tutta Italia specie in Lombardia e Toscana alla ricerca di donne e castelli. La diffusione dei nomi fu spontaneamente legata alla cupidigia sessuale dei fieri uomini nordici che ovunque si recassero imponevano lo “Ius Prime noctis”. L arte guerriera si consolidò dopo il mille con le crociate. Un ramo della famiglia, non tanto potente, decise di partecipare per rimpinguare gli scarsi possedimenti. Il mare non era la loro specialità e per imbonirsi il Creatore inventarono uno stemma che ricordasse la loro alabarda e la quiete dei delfini. Le guerre in Terra santa non salvarono le anime ne ai cristiani ne al mussulmani e per tutti i combattenti il Creatore ci fu l’appellativo di Infedeli. In realtà a tutti interessavano soldi e potere, la salvezza dell’anima era per i pecoroni che andavano al macello con la promessa di una vita bellissima nell’Aldilà. Le botte che i cristiani presero in quelle terre lontane fecero ritornare il Bindo-Bindi in Italia piuttosto malconcio ma ancora con spirito imprenditoriale. Passando per le terre Italiche si imbatté con la ricca famiglia Petroni. I lungi capelli biondi , la barba ispida e il blu del delfino sul petto fecero colpo sulla giovane fanciulla che abitava nel borgo nascente di Siena. Tra le due famiglie si strinse un patto di ferro. Il Bindi divenne fiero di se stesso perché le sue umili origini potevano, dopo il fallimento delle crociate, errere riscattate con l’i matrimonio con una antica famiglia le cui origini risalivano alla Gens romana Petronia. Correva l’anno 1313 e il capostipite della famiglia Bindi moriva ed era sepolto nella chiesa di San Petrignano a Siena. Uomo ricco e facoltoso lasciò tutti i suoi beni ai figli e ai nipoti più o meno legittimi. La ricchezza fa brutti scersi e nel giro di una generazione tutto scomparse e la famiglia si disintegro proiettandosi in tutta l’Italia.
Intermezzo: Nel mille e settecento il quel di Prato un tizio che si chiamava Mario Bindi decise che i soldi che aveva accumulati erano così tanti che era giunto il momento di mettere su famiglia e di trasferirsi nel contado senese lontano dai fumi puzzolenti delle tesserie.. La forza spirituale e materiale di quell’uomo dette vita ad un albero che presto sormontò tutta la sterpaglia. La marea di famiglie che portava l’antico cognome e che popolava i paesi vicini rimasero arbusti. L’albero crebbe sotto il nonno Giovanni che ebbe nell’ottocento ebbe 7 figli. Il suo patrimonio era cospicuo e con la sua arguzia seppe dividerlo in parti disuguali ma ponderate sul quoziente intellettivo dei figli. Il patrimonio terriero andò per 3/5 a un figlio agricolo, per 1/5 al un medico che aveva la passione della caccia, 1/5 allo zio prete e le case e i soldi al resto della famiglia. Tutti contenti si scrivevano lettere si saluti e si facevano le foto per riempire gli album di famiglia. Il naso adunco era la caratteristica genetica delle donne. La famiglia viveva nell’agio senza sperperi ne ostentazione della ricchezza. La educazione liberale borghese garantiva il rispetto della popolazione e le professioni mediche, giuridiche ed umanistiche aumentavano la deferenza e la riconoscenza di coloro che si rivolgevano ai Bindi.
Epilogo:
le foglie si sono seccate , i grossi rami si sono atrofizzati e i polloni che nascono dalle radici stentano ad irrobustirsi e non rompersi durante i temporali.
Quando tutto il vecchi albero sarà ridotto a polvere e a concime per la terra sarà il tempo per la crescita di un pollone. Da piccolo arbusto si trasformerà in un nuovo albero forse più grande del primo. Il tempo passerà, e chissà se saranno necessari 60.000 anni prima che la vigoria del pollone superi quella dell’arbusto originario.
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